PERCHÉ SONO INFELICE




Da cosa nasce la nostra infelicità?

Spesso ci imbattiamo in persone che mostrano i segni di un perenne malessere, un disagio esistenziale che non è immediatamente riferibile a circostanze o a condizioni particolarmente onerose: malattie, perdite economiche, affettive, privazioni gravi della libertà, insomma tutti quei mali che gli antichi consideravano contenuti nel vaso di Pandora. La leggenda racconta che Giove lo avesse regalato a Epimeteo una moglie bella quanto pericolosa che spinta dalla curiosità nonostante il divieto ricevuto aveva aperto questo famoso vaso dove erano state serrate tutte le sciagure che affliggono gli uomini. Da quel giorno il genere umano ha dovuto affrontare una lotta costante per difendersi da ogni tipo di sciagura. La saggezza antica spiegava così l’esistenza del male con l’invidia deorum.

Oggi ci troviamo in una situazione molto più grave, combattiamo con un malessere, un’infelicità priva di un reale motivo, che ci abita senza darci alcuna possibilità di sfrattarla. Sono tanti i giovani che si lasciano vivere, liquefatti sul divano di casa, in un’esistenza letargica incapaci di trovare un senso in nessuna azione diretta a uno scopo. Impegnati in una strenua lotta nel non fare, dove anche il minimo gesto diventa un attentato al loro Nirvana esistenziale. Spesso colonizzati da suoni anche assordanti o da immagini che si muovono su uno schermo o calamitati da mondi virtuali, dove vivere costa il minimo sforzo, basta riservarsi il ruolo di spettatori.

E proprio l’assenza di una ragione identificabile che ci confina nell’inerzia, nell’apatia o, al contrario, nella ricerca frenetica e compulsiva del piacere per sfuggire al senso di vuoto che ci attanaglia quando non possiamo inseguire l’ultimo miraggio del momento. Così dissipiamo la vita per distrarci o sfuggire a questo senso di malessere che ne costituisce la colonna sonora costante, senza variazioni sul tema.

Che cosa spinge tante persone a non vivere o a vivere male?

Alla base di tutto c’è la perdita di un mondo ordinato con delle regole precise e l’avanzare di un mondo dell’apparenza, dove è stato ribaltato il rapporto tra l’essere e l’apparire dove non si appare perché si è, ma si è in quanto si appare. Il doloroso problema è l’inseguimento dell’ammirazione in un mondo senza regole.

Oggi i giovani, ma anche i meno giovani sono alle prese con aspettative molto alte indotte dai media, dal mondo scintillante della pubblicità, dello sport, da modelli/idoli che appaiono particolarmente seducenti e che ci fanno scoprire la nostra indegnità a confronto.
Il bisogno di ottenere l’ammirazione sociale, di essere per qualche motivo speciali, spogliato dello sforzo e della fatica per raggiungere obiettivi compatibili con le capacità di cui siamo dotati è un erogatore inesauribile di infelicità.

Un Sé senza limiti etici, morali collettivi, può mettersi in una deriva pericolosa. Le regole ci sono, ma non sono determinanti nei processi decisionali. Quello che conta è preservare un Sé che si nutre dell’approvazione e del consenso premunendosi da qualsiasi attacco.

Ecco cosa dice a questo proposito Gustavo Pietropolli Charmet in L’insostenibile bisogno di ammirazione: “oggi si disputa sulla furbizia e non sulla bravura e competenza”, categorie obsolete perché richiedono sforzo, tempo e fatica, e soprattutto non danno risultati immediati ed espongono a sconfitte.

Insomma, siamo infelici perché abbiamo aspettative troppo alte e una autostima troppo bassa  per  non crollare di fronte alle inesorabili frustrazioni che precorrono l’eventuale fallimento finale. In altre parole, siamo poco allenati alla fatica del viaggio e ci dimentichiamo che l’alloro del vincitore gronda di fatica, di notti trascorse insonni, di dubbi.

Gli esempi di persone che raggiungono la notorietà senza particolari meriti ci fa desiderare di entrare in questa schiera che si ingrossa a vista d’occhio in seguito alla planetaria connessione regalata da Internet.

Perché non può o non deve capitare anche a me? Per il bisogno di ammirazione si è disposti a tutto, sembra l’elemento che garantisce la sopravvivenza psichica, narcisistica, sociale dell’individuo e del gruppo, fino a scatenare - quando incontra degli ostacoli - reazioni di incalcolabile violenza.

L’esempio di ragazzi che, in una località dell’hinterland milanese, sopraffatti dalla noia, prima improvvisano dei balli sopra l’altare della chiesa facendosi dei selfie e mettendoli in rete e poi lanciano una bicicletta da un cavalcavia, è significativo per mostrare come la ricerca di ammirazione si declina spesso in atti vandalici e in profanazione dei valori più consolidati.

Anche reati e atti inspiegabili si commettono all’insegna di questo esasperato bisogno di luce sociale, di uscire dall’anonimato, per essere finalmente visibili.
Così il gap tra la irrealizzabilità delle aspirazioni e gli strumenti di cui si dispone (tra cui la mancanza di un’autostima d’acciaio) è fonte di tormenti per molte persone che trascorrono la vita perennemente insoddisfatte di ciò che non possono essere, caricando sulle spalle del mondo responsabilità per fallimenti che sono solo frutto della crudele illusione di essere liberi di raggiungere qualsiasi sogno, a qualsiasi prezzo.

Dovremmo a questo punto dimensionare le aspettative alla luce di un accurato bilancio di ciò che la natura ci ha donato, sforzandoci di migliorare quello che possiamo, senza aspettarci troppi applausi, aspettando quel rimborso che la vita sempre riserva ai più operosi e realistici tra gli esseri umani.

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