CONTROLLARE LA RABBIA NEI BAMBINI




Il problema dell’aggressività è uno dei più difficili da affrontare. Sin dalla prima infanzia i
bambini mostrano una carica aggressiva che suscita nell’adulto uno stato di tensione.
Siamo di fronte a qualcosa che pesca nel nostro inconscio, in ciò che abbiamo rimosso e che non riusciamo a regolare. La prima domanda da porsi è perché questo accade. Imparare a leggere l’aggressività è infatti il primo passo per canalizzarla. I bambini aggressivi sono spesso figli di genitori passivi, depressi; il loro comportamento è un modo per parlare il linguaggio che è rimosso dall’adulto. Se l’adulto inibisce le proprie azioni o è tanto stanco da non riuscire neppure a parlare, il bambino è costretto a essere aggressivo e non può parlare.

Spesso però il problema non è la stanchezza o la depressione dell’adulto che si prende cura del bambino, ma una lettura distorta dell’aggressione. Ogni violenza ha bisogno di esprimersi, perché ogni violenza è simbolica. Il bambino agisce per costringere l’adulto a intervenire, sia se l’adulto è passivo, sia se si interessa dei fatti suoi, sia per cercare la comunicazione. Deprecare la violenza non è il sistema più efficace per ridurla, è preferibile cambiarla di segno. Riconoscere quello che per varie ragioni non è detto, o interessarsi a ciò che essa cela. Tutti desideriamo essere capiti, ma il più delle volte non abbiamo i mezzi per farci capire. Siamo però sensibili all’interesse che l’altro riserva ai nostri bisogni, desideri, intenzioni, a ciò che ci fa esistere nella relazione e nel mondo. Spesso dietro un atto aggressivo c’è una ricerca di comunicazione fallita. Questo avviene sia tra gli adulti, sia tra i bambini.

La prima terapia della violenza è la parola. Quando si prova una forte emozione bisogna imparare a esprimerla e così quando si ha un desiderio. Il desiderio è infatti fare o avere, prendere o dare qualcosa che non si può o si può a certe condizioni. Se non si passa dalla parola si ricorre alla forza, e se c’è una sconfitta, l’impotenza esaspera la rabbia in modo parossistico ed esplosivo.
Pertanto occorre una pedagogia adatta ad accogliere la rabbia e a non reprimerla. Perché le persone inibite e passive sono le più violente. L’aggressività di per sé non va demonizzata, perché è vitale e iscritta nel nostro patrimonio genetico. Una forma perversa di aggressività è invece quella mascherata, quella che ha l’aria di essere gentile. Questo si nota sin dai primissimi anni. Ad esempio quando un bambino sta sempre attaccato alla madre e le impedisce di muoversi. Si tratta di un bambino mutilato dall’allontanamento materno, non mediato dalla parola. La madre è sparita. Se il bambino non è "abitato" dalle parole della madre non riesce a tollerarne il distacco.

La parola è pertanto l’unico mezzo per favorire il controllo, tutto ciò che non ha senso scatena reazioni forti. La violenza va quindi ascoltata e regolata con opportune risposte, senza scatenare sensi di colpa che sono il carburante di ogni gesto violento. Al contrario, passando dal motorio, dal corpo a corpo, al simbolico.

Va considerato poi che ogni aggressione ha bisogno di due poli: l’aggressore e l’aggredito;
essi si attraggono, i bambini inibiti catalizzano l’atto aggressivo, sono come una calamita naturale. Di conseguenza, quando questo avviene e un bambino cerca aiuto perché è stato picchiato, dice Françoise Dolto, occorre "lodare" l’aggressore e chiedere al bambino che cosa voleva.
Ad esempio: Voleva mettersi in contatto con te e tu non sei stato capace di rispondere.
Ma se il bambino protesta e dice: No, voleva prendere quello che avevo io.
Bisogna dirgli: E tu non sei stato capace di difenderlo.
E poi bisogna fargli raccontare come sono andate le cose.  Così il bambino capisce che la cosa importante è sapersi difendere e con il tempo imparerà a farlo, senza sentirsi in colpa o impotente per non esservi riuscito.

Questo può essere applicato anche agli adulti. Spesso si pensa che di fronte a un attacco
la cosa migliore sia rispondere con la stessa modalità, in modo da far vedere all’altro che non si è disposti a subire. Ma non sempre la risposta aggressiva o passiva è una soluzione. Piuttosto è meglio "non fare" e passare al simbolico, che si traduce in questo pensiero: che cosa posso fare ora per stare meglio con me e con l’altro?

Quindi il linguaggio interiore può disinnescare la rabbia, specie se si usa il distanziamento mentale. Questo ci aiuta a guardare le cose dall’esterno e con il necessario distacco, sospendendo l’azione che può essere ponderata e in seguito agita libera dall’impulso del momento.

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